Messinscena cruda e tagliente, azzardata e riuscita, La città di dentro disegna con tratti da tragedia shakespeariana una Napoli storicamente vicina, tragicamente viva, che si dibatte e langue. Straziata da guerre intestine che mutano le sue geografie d’incanto in aspri campi di battaglia, la città divora gli uomini, schegge impazzite stritolate dal potere. Né vinti né vincitori si muovono sulla scena di questo dramma moderno. Morte, sesso, droga, tradimento, dolore, avviluppano il giovane spacciatore Sanguetta, che percorre vie ignominiose, tesse luride alleanze, dimentico finanche dei legami di sangue, per approdare al potere e succedere al re-boss Sarracino.
E lo stato? Dov’è lo stato? A rappresentarlo c’è uno sbirro, un poliziotto della Digos, l’Americano, duro e cocainomane, votato alla vendetta. A lui fa da contrappunto Omissis, braccio senza nome dei servizi segreti, che a suon di azioni correttive controlla e agisce, dando agli eventi il “giusto” indirizzo… e non per sete di giustizia, ma per restituire alla società il suo sconcertante equilibrio.
Una scrittura acuta e rigorosa quella di Giuseppe Miale Di Mauro e Angelo Petrella, autore del romanzo La città perfetta da cui lo spettacolo è liberamente tratto, una drammaturgia della violenza e del potere che si lascia seguire attraverso i tortuosi sentieri, per far approdare lo spettatore ad un finale in cui tutti i cerchi si chiudono. A dar vigore a questo canto di morte, un cast di ottimi interpreti, abili e sanguigni, che recitano e ringhiano tratteggiando personaggi dai caratteri energici: Pippo Cangiano interpreta in maniera impeccabile il perfido re-boss Sarracino; l’abile Adriano Pantaleo disegna con tratti precisi e decisi l’irrequieto Sanguetta; Ivan Castiglione tratteggia con convinzione la durezza dell’Americano; Francesco di Leva porta in scena con maestria l’energico e convulso Beckembauer, scagnozzo del re, astuto e infido, che balza sulla scena con sinuosi e inquietanti scatti felini; e ancora Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Lorenza Sorino, Gennaro Marano e Salvatore Presutto.
L’arguta e attenta regia dello stesso Di Mauro rende universale luogo ed eventi. I costumi di Giovanna Napolitano e l’impianto scenografico di Carmine Guarino contribuiscono a creare quel mondo ibrido, sospeso tra antico e moderno, che è il luogo-non luogo della vicenda. Molto belle le musiche di Francesco Forni, che sottolineano o commentano l’azione con grande efficacia e le luci di Silvio Ruocco, che disegnano spazi e sublimano atmosfere.
Insomma uno spettacolo lirico ed evocativo, che nel riproporre il macabro e il truce di una realtà a noi fin troppo vicina, apre le porte ad inquietanti interrogativi.